La terra degli altri - Intervista a Cristiana Fiamingo
La terra degli altri
Intervista a Cristiana Fiamingo, docente di Storia e Istituzioni dell’Africa presso
la Facoltà di Scienze Economiche e Sociali dell’Università di Milano
L'espressione "land grabbing" indica la concentrazione in poche mani, pubbliche o private, di grandi estensioni di terre nei Paesi in via di sviluppo. In realtà il fenomeno - come ben descritto nell'ultimo libro a sua cura ("I conflitti per la terra", Edizioni Altravista) - si inserisce in un sistema assai complesso di relazioni sociali, politiche, economiche, a livello locale e globale...
Circa il fenomeno dell'accaparramento delle terre e di tutte le risorse cui attraverso questa si accede, nel volume pubblicato a cura mia, di Mauro Van Aken (Univ. degli Studi Milano-Bicocca) e di Luca Ciabarri ( Univ. degli Studi di Milano), con l'aiuto di esperti delle più diverse discipline si son voluti sfatare diversi miti che sono passibili di svilupparsi attorno alle sintesi e alle approssimazioni che nomi e locuzioni solitamente attribuiti a fenomeni politici ed economici veicolano. "Land grabbing" si presta, infatti, a interpretazioni imprecise. La razzia è infatti - come vedremo - per lo più regolamentata, ciò che è "indisciplinato" è lo scoordinamento delle operazioni commerciali che gli Stati gestiscono, rispetto al servizio primario che uno Stato dovrebbe garantire: la tutela della propria popolazione, cui, di fatto, sottrae sostentamento. I contributi contenuti nel volume, in proposito, non mancano di tentare definizioni che meno si prestino ad ambiguità; analizzando i metodi di definizione quantitativa della portata dell'accaparramento di terre; mettendo in relazione il fenomeno col consumo di suolo e la sottrazione di cibo anche focalizzandosi sulle dinamiche speculative che giocano sulla variazione dei prezzi dei beni alimentari e riducendo le distanze fra i target del fenomeno, che non sono affatto tutti concentrati nei cosiddetti Paesi del Sud del mondo. Oltre a specifici studi di caso dai diversi continenti, nel volume si considerano anche le forme di resistenza esperite a fronte di questo fenomeno e i ruoli in esse giocati, anche alle nostre coordinate (concentrandosi sul movimento No-TAV in Val di Susa, per esempio). La materia è in continua evoluzione: i casi offrono chiavi di lettura che noi possiamo applicare nell'interpretare l'amara realtà che ci circonda, in cui nessun continente è assolto. Nell'Europa stessa, senza spingersi a sondare le scandalose acquisizioni in Romania emerse di recente e la parabola dei prezzi dei terreni agricoli che sta conoscendo, si vedano gli effetti diretti e collaterali dell'impresa Expo, sul territorio di Milano e relative vie d'accesso!
Secondo i dati pubblicati da Land Matrix 2012, la crisi finanziaria del 2008 ha incentivato la corsa all'accaparramento della terra. Quali le ragioni principali?
La crisi cui si fa riferimento è quella dei prezzi agricoli: si parlava all'epoca della "guerra del pane", se ricorderete, in quanto molti Stati, specie dopo le inondazioni dell'est europeo che hanno inibito le esportazioni di grano, si son resi conto allora della finitezza dei prodotti alimentari e della necessità di assicurarsi riserve. Sovranità e sicurezza in campo alimentare sono diventate la nuova agenda da allora, ma a scapito di quelle altrui: laddove Stati ricchi di terra, ma dalle economie precarie, non mancando di violare diritti o approfittando dell'ambiguità di titoli di possesso comunitari su lotti agricole pascoli, o concedendo risarcimenti irrisori, l'hanno messa a disposizione degli investitori. Formalmente i contratti sono spesso ineccepibili dal punto di vista giuridico: se ne trovano a migliaia tra i BIT's, i trattati bilaterali pubblicati sui siti delle principali agenzie economiche internazionali, quel che manca, piuttosto, è la trasparenza del dettaglio e un'analisi costi-benefici di medio/lungo periodo. I primi effetti già si fanno sentire. A fronte di imprese fallite, le terre affittate loro con contratti di durata dai 30 ai 99 anni si sono rivelate impossibili da rimettersi a regime per diversi anni: inservibili a causa di coltivazioni dagli effetti devastanti sia per l'impiego di energia e acqua che comportano, sia per l'impatto sul terreno (si pensi alle coltivazioni di jatropha, utilizzata come biocarburante). Per non dire dei costi economici e sociali che comportano popolazioni evitte che vanno a sovraffollare le periferie urbane o vengono ammassate in sorte di campi profughi, come sta avvenendo da tempo in Etiopia e altri Paesi africani, creando situazioni socialmente esplosive, economicamente insostenibili, politicamente incontenibili nei confini nazionali, con tutte le conseguenze del caso a livello regionale.
L'accaparramento e l'accesso indisciplinato alla terra provoca, come accaduto nei Paesi dell'Africa subsahariana o del Sudamerica, effetti devastanti: indiscriminate appropriazioni e svendite del patrimonio naturale degli Stati a scapito delle popolazioni locali, in uno scambio di interessi politici ed economici interni ed esterni. Quale il punto di partenza per trasformare, se possibile, il land grabbing in una reale opportunità di crescita per tutti?
In realtà, a livello globale, sin da Rapporto tecnico sullo Sviluppo Umano, espresso dallo Uniterd Nations Develpoment Programme (UNDP), nel 1994 (oltre vent'anni or sono), si sono messe in luce le cosiddette "Nuove Dimensioni della Sicurezza Umana": delineando quali fossero le insindacabili sfere di responsabilità degli Stati nel tutelare l'individuo come tale. Perchè finanziamo mastodontiche agenzie internazionali se poi non diamo ascolto almeno alle indicazioni più assennate che producono? Perchè la società civile è così frammentata e non si aggrega nel far pressione sulla politica? Ormai dobbiamo aver compreso come questa sia maledettamente sorda rispetto a richiami e linee guida (timide, poichè per lo più volontarie - come quelle espresse dalla FAO sulla gestione fondiaria, nel 2012-), mentre ci sente benissimo quando i richiami provengano dal capitale! Perchè in quest'epoca in cui tutti condannano gli effetti perversi della globalizzazione, ma concordano sull'eddetto collaterale positivo della comunicazione, la Cittadinanza non è informata dell'implicazione in queste manovre delle banche di cui si serve, nell'assicurare gli investimenti necessari al rimpinguamento dei fondi di pensione? Pensate fino a che punto le politiche del lavoro dei singoli Stati del codiffetto Primo mondo finiscano per essere coinvolte in questa sistematica spoliazione delle risorse mondiali, quando non lo siano direttamente (e l'Italia è anche molto coinvolta nell'accaparramento di terreni in Stati come Senegal, Etiopia e Mozambico, per esempio). Il punto di partenza è una responsabilità oggettiva perchè informata. Ciò che spinge noi scienziati della politica, della storia, del diritto, dell'economia, della società, dell'uomo, della terra, dei suoli, dell'idraulica... a inventarci piattaforme interdisciplinari come questa e a scrivere adottando dei linguaggi accessibili al grande pubblico è proprio questo: a che nessuno possa dire "ma io non lo sapevo...". Consapevolezza, aggregazione e pressione diretta sulla politica. Non solo non c'è altra via, ma non c'è firma di petizione on-line che possa avere maggiore effetto di questo.
Di Maria Isa D'Ursi