Brain Factor - Ipnosi e meditazione, verso un nuovo paradigma
“Ho sempre ritenuto scienza e filosofia materie inscindibili, ho sempre sostenuto la necessità di riavvicinare medicina, psicologia e filosofia, fin dalla mia iscrizione all'università”. Sono le parole con le quali Enrico Facco, professore di anestesiologia e rianimazione all'Università di Padova, apre il suo nuovo saggio “Meditazione e ipnosi. Tra neuroscienze, filosofia e pregiudizio” (Edizioni Altravista, 2014).
Un libro sofferto al punto giusto quello di Facco, intenzionato a trovare la portante comune a due discipline all'apparenza (ma soltanto all'apparenza, come vedremo) tanto distanti da aver portato un editore a sconsigliarne la trattazione congiunta, perché sarebbe stato meglio scrivere “due libri separati”. Ma per fortuna il professore di Padova non è uso scoraggiarsi facilmente e quel che ci regala è un volume ricco di stimoli, di riflessioni profonde, non “ordinarie”, e non privo di qualche digressione fuori dai denti.
“Bellamente ignorate dalla cultura occidentale degli ultimi due secoli”, la meditazione e l'ipnosi, “attività indissolubilmente psicosomatiche”, sono tecniche introspettive di sorprendente valore perché consentono di accedere a livelli di controllo del corpo e della mente inimmaginabili: è dunque d'obbligo riprenderle in seria considerazione “non solo per le potenzialità terapeutiche, ma anche per le loro ineludibili implicazioni epistemologiche e filosofico esistenziali”.
Ritenendo questionabile l'iscrizione dell'ipnosi fra gli stati alterati di coscienza (ASC), Facco preferisce definirla come un'attività appartenente alle cosiddette “espressioni non ordinarie della mente (Non Ordinary Mental Expression o NOME)”, in grado di aprire una diretta comunicazione con l'inconscio e con funzioni somatiche normalmente non controllabili volontariamente, come ad esempio quelle connesse con il sistema neurovegetativo e con le vie del dolore, consentendo una loro modulazione e un loro controllo.
Un fondamentale trait d'union fra ipnosi e meditazione è costituito proprio dalla “intima natura di attività introspettiva profonda e inscindibilmente psicosomatica” delle due discipline, entrambe viste come possibilità di riconciliazione della relazione mente corpo, nei termini della capacità di “controllare con la mente funzioni somatiche inaccessibili alla volontà in condizioni ordinarie di coscienza”, una sorta di “fisiologia mistica”, per usare una definizione cara a Eliade.
I dati che arrivano oggi dalla neuropsicologia e dalle neuroscienze dell'ipnosi e della meditazione costituiscono – a detta dell'Autore – “una sfida al paradigma dominante nella scienza medica, di matrice materialista e riduzionista, nonché alla posizione epifenomenalista che considera la mente come mera e passiva espressione dei circuiti cerebrali”, perché se da un lato è vero che il cervello è alla base dei fenomeni mentali, è anche vero – come dimostrano i paper – che la mente è in grado di modificare il cervello, sia funzionalmente sia strutturalmente.
Infatti “i correlati neuroanatomici non sono indice di nessi causa-effetto e non esiste una gerarchia unidirezionale dal basso verso l'alto [...]: una tale gerarchia non è né dimostrata né riduzionisticamente definibile a priori; affermare il contrario sarebbe altrettanto solido sul piano scientifico che sostenere che la decisione di camminare è nelle gambe”.
Secondo il neurologo già autore di “Esperienze di premorte” (Altravista, 2010) la relazione mente cervello la si spiega meglio come un “processo di interazione dinamica simile alla relazione Yin-Yang taoista, in cui ciascuno dei due poli appare come opposto ma genera l'altro”. Difficile per una mente occidentale concepire questa idea? Una apertura alla sapienza orientale (molto pragmatica, perché inscindibilmente connessa con la sua attuazione nella vita attiva) ci consentirebbe di superare i “limiti della pura ragione”, che da sola davvero sembra non bastare a comprendere la complessità dell'umano.
A ben guardare, gli stessi pensatori greci, nei manuali di storia della filosofia fulgido esempio di razionalità e di logica, avrebbero qualcosa da insegnarci in proposito: non unico della serie, Parmenide, che nella contrapposizione fra essere e non essere apre la via al principio aristotelico di non contraddizione, è in realtà un “ouliadès physicòs, uno iatromantis, un guaritore veggente iniziato al culto di Apollo, dio delle tane e dell'incubazione”.
Da iatromante, esperto di incubazione prima che filosofo nel senso moderno del termine, l'eleate “poteva viaggiare con l'anima mentre il corpo appariva giacere come morto ed entrare così in contatto con gli dei, esplorare i segreti del cosmo e poter quindi compiere guarigioni e prodigi per la comunità”. Insomma, uno sciamano: la tecnica dell'incubazione infatti “appartiene alla heskìa, disciplina la cui origine è pure da ricercare nella sciamanesimo asiatico e connessa con l'estasi, la conoscenza intuitiva, il superamento del pensiero concettuale, di ogni dualità e separazione”.
Sganciandoci anche solo per un attimo dal dogma della “cultura razionalistica post-illuminista, che tralascia tutto quanto non sia compatibile con la propria visione del mondo”, non è poi così difficile trovarsi faccia a faccia con presocratici “saggi - sacerdoti - guaritori, conoscitori delle funzioni e dei recessi più misteriosi della psiche e delle NOME”.
Attenzione, però: non per questo si è “contrari alla ragione”. Sarebbe specularmente pregiudizievole e altrettanto monco. Le NOME “semplicemente consentono di espandere la conoscenza in modo intuitivo esperienziale in altri ambiti e con l'uso, per così dire, di un software mentale diverso”. Non è questione appunto di “eleggere come superiore una facoltà singola mentale escludendo le altre, come spesso si tende purtroppo a fare, ma al contrario di aprire la mente a un uso consapevole ed equilibrato, razionale e critico delle NOME, fondendo consapevolmente in unità armonica le facoltà dell'intera psiche”. In altri termini, procedere oltre la ragione e l'intelletto in questo modo non vuol dire essere irrazionali, ma “coltivare ragione e intelligenza e nel contempo trascendenderle”.
Ci sarebbe tantissimo ancora da dire, ma non vogliamo togliere al lettore il piacere di affrontare direttamente (e a modo proprio) il volume, che si sviluppa in più di 400 pagine dense ma che si leggono d'un fiato, con ampi capitoli dedicati alla sistematizzazione dei più recenti avanzamenti della ricerca neuroscientifica sulla meditazione e sull'ipnosi, fino a un auspicio conclusivo: sviluppare un nuovo paradigma capace di “riscoprire la saggezza e la sapienza” tanto utili all'umanità.
In prospettiva clinica: “nell'attuale crocevia storico è più che lecito ipotizzare che medicina, psicologia, ipnosi e meditazione possano fortemente beneficiare le une delle altre, se solo si demoliscono le barriere culturali e i gravi pregiudizi che le hanno inquinate e separate per secoli. Non si può dunque prescindere da un approccio rigoroso ma aperto a culture e paradigmi diversi e autenticamente scettico, ovvero disposto a non accettare ma contemporaneamente a non rifiutare nulla a priori”.
Per il professore di Padova “la posta in gioco è altissima, perché l'alternativa è perdere un prezioso patrimonio di conoscenze empiriche distillate da oltre due millenni, pur di salvaguardare gli assiomi, i dogmi e le credenze della cultura e dello spirito del tempo in cui si è immersi”.
Marco Mozzoni